Mie care anime librose,
il blog riapre i battenti dopo una lunga pausa estiva, con una bella recensione, la prima di molte altre.
Si tratta del romanzo di Valentina Cardellini L'EREDITA' DEI FELTON, edito da Literary Romance.
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TRAMA
Un antico orologio da taschino fermo alle 6:35 trovato ai piedi della cattedrale di Saint Paul. Una vecchia leggenda di principesse e balli clandestini. Una moderna Cenerentola. Questi sono gli elementi di una fiaba d’altri tempi che inaspettatamente collegherà Londra alla pittoresca Bibury. Un’avventura nel tempo che porta la giovane Elaine a compiere una caccia al tesoro i cui indizi sono ancora tutti da scoprire per ritrovare il proprietario del prezioso monile, ma il passato, che tanto ha cercato di dimenticare, non tarderà a ripresentarsi cercando in tutti i modi di rovinarle il lieto fine. L’unico elemento da cui partire è l’incisione sul retro della cassa dell’orologio: “15 dicembre 1946 – Possa questo giorno ispirare e condurre tutti i nostri giorni. Con amore, M.”
RECENSIONE
A mio avviso, un romanzo non può avere delle caratteristiche peculiari oggettive per essere gradevole alla lettura. Voglio dire, in parole più semplici, che ogni storia stabilisce da sé con quale ritmo viaggia e quanto profondamente coinvolge il lettore.
L'eredità di Felton apre con una piccola introduzione che piano piano ci introduce a questa storia che collega il presente al passato. Ed è così che attraverso il semplice ritrovamento di un orologio da parte di Ellie, la protagonista, che questa sorta di intreccio temporale inizia a coinvolgere sempre di più.
Ammetto che ci sono alcune caratteristiche che cerco costantemente nelle storie che leggo e tra queste spiccano le descrizioni e i dialoghi. Le descrizioni non devono mai perdersi nell'inutile e tediosa prolissità, ma devono arricchire lo scenario nel quale il lettore è immerso in quell'istante preciso. Mentre i dialoghi non devono mai risultare artificiosi, ma quanto mai verosimili. Devo dire che la Cardellini costruisce bene gli ambienti e gli sfondi della sua storia, infatti ho gradito in modo particolare la descrizione in apertura della cittadina di Bibury, a quanto pare una vera oasi di pace immersa nella campagna inglese.
Bibury era un angolo di mondo che non conosceva parole come “fretta”,
“stress” o “confusione”. La calma e la quiete si diffondevano come il
profumo di una pianta odorosa, che chiunque avrebbe potuto percepire.
Frequentare quel posto, per molti, era divenuta una scelta curativa, il modo
più efficace per sconfiggere le tensioni causate da vite vissute troppo
velocemente.
Gli abitanti di Bibury erano per la maggior parte persone anziane o nuove
generazioni di famiglie discendenti dagli antichi pastori che, decine d’anni
prima, avevano edificato quegli stessi cottage come ovili per i loro greggi.
Altrettanto gradevoli sono le descrizioni qua e là che arricchiscono sempre e comunque lo sfondo narrativo.
Elaine Tilbury, meglio conosciuta come Ellie, era una ragazza che non
passava inosservata: capelli biondo cenere lunghi fino alle spalle, occhi scuri,
naso dritto e sguardo deciso, sempre focalizzato sull’obiettivo, e il cipiglio di
chi è abituato a non fermarsi mai perché chi si ferma è perduto.
Lavorava in un’importante società di consulenza, la Barrets & Benson, e
tutti i giorni raggiungeva la City, il cuore finanziario di Londra, al numero
130B di Wood Street, dove sorgeva un palazzo squadrato di cinque piani che
ospitava il suo ufficio.
Per via del suo impiego, Ellie aveva una vita scandita da ritmi molto
precisi. Sveglia alle sei, un caffè veloce insieme al fratello, poi dieci minuti
per vestirsi e sistemarsi, tragitto in bicicletta fino alla stazione di Chiswick, il
quartiere in cui abitava, e metro linea verde, la District, con arrivo alla
stazione di Mansion House. Ci volevano circa quaranta minuti di viaggio e
altri dieci a piedi per raggiungere Wood Street.
Arrivava in ufficio alle otto e trenta circa, non prima di aver sostato da
Starbucks per ordinare la colazione. Con un muffin ai mirtilli e il solito
americano bollente tra le mani, guadagnava la sua scrivania, accendeva il
computer, consultava l’agenda, sbrigava qualche scartoffia e riceveva i
clienti.
Anche nella stessa descrizione della protagonista, non si dilunga come spesso accade, sortendo un effetto soporifero su chi in quel momento, dei protagonisti, vuol sapere il giusto ma non il troppo che stroppia.
Insomma, posso ben dire che la Cardellini non è un'autrice che si perde in chiacchiere inutili. Sa dosare bene le parole e questo per me è un gran pregio.
I dialoghi non sono male, li ho trovati abbastanza curati, anche se ci sono stati dei punti in cui quell'ombra di artificiosità, nella quale purtroppo talvolta si cade senza volerlo, si è fatta sentire.
Del resto la linea tra la sincerità di un dialogo e la finzione è molto sottile, e oltrepassarla è veramente un attimo!
Ma tutto sommato questo non penalizza il romanzo che cammina a ritmo sostenuto e ci accompagna nella scoperta di un affascinante mistero... Ehm, lo sapete, io non posso spoilerare nelle mie recensioni, andrebbe contro la mia etica.
Io definirei questo romanzo un po' a colori e un po' in bianco e nero e vi spiego subito il perché: dico a colori, perché tutto sommato somiglia proprio ad una bella favola moderna di quelle che fanno sognare, ma è anche in bianco e nero, perché è così pregno di sani principi e di sentimenti puri da sembrare uno di quei vecchi films in bianco e nero, ancora molto ingenui e semplici.
Voglio chiudere facendo un piccolo pensiero che fa proprio riferimento a questo romanzo dolcissimo e piacevole che ha allietato i miei primi giorni di ferie, un riferimento che ovviamente capirà soltanto che ha letto il romanzo come me:
Leggere questa bellissima storia è stato come aprire per poco una finestra sul cuore, per poi richiuderla con l'ultima frase, l'ultima parola e infine con quell'ultimo punto che chiude ogni cosa.